È doveroso fare i complimenti ai ricercatori torinesi che hanno dato un importante contributo non solo alla scoperta della mutazione di CAPRIN1 come causa di malattia, ma anche alla conoscenza dei complessi meccanismi molecolari che portano dalla mutazione alla disfunzione e queste conoscenze potrebbero portare all’identificazione di bersagli per terapie innovative.
Un numero sempre maggiore di famiglie riceve una diagnosi non solo sintomatica di autismo, ma anche eziologica. Le condizioni monogeniche, quelle nelle quali la mutazione di un solo gene è responsabile di tutta la sintomatologia (autismo spesso associato ad altri disturbi) aumentano molto come numero di geni, anche se ogni sottogruppo è composto da un esiguo numero di individui, destinato però a crescere se più persone con autismo si sottopongono agli resami genetici. Ma poi la delusione. E adesso cosa cambia? Al momento non cambia nulla, perché alla diagnosi non segue una terapia specifica e, dal punto di vista terapeutico, tutto continua come prima. Cambierebbero molto le prospettive terapeutiche se si formassero gruppi di ricerca dedicati ognuno allo studio di un singolo gene per studiare il percorso che porta dal gene alla funzione. Questo consentirebbe di individuare dei bersagli specifici su cui agire a scopo terapeutico.
Al giorno d’oggi ogni gruppo di ricerca si potrebbe rivolgere al mondo intero per formare sottogruppi più numerosi di quanto consentirebbe un gruppo solo nazionale o comunque territoriale. La tecnologia odierna consente di dialogare a distanza e anche di trasportare a grandi distanze i campioni biologici.
Mi auguro che questo succeda al più presto per un numero sempre maggiore di condizioni monogeniche.
Daniela Mariani Cerati